lunedì 22 novembre 2010

Marchio mio, no tuo no.

Il dibattito che infiamma la cronaca politica di questi giorni e riguarda il diritto di proprietà del marchio del PDL rappresenta una boccata d'ossigeno per la nostra categoria professionale.

I grafici e i pubblicitari da anni, spesso inutilmente, insistono sull'importanza dell'identità di un partito, di un'azienda o di un prodotto.
Oggi il marchio è bistrattato, sottovalutato, affidato a principianti, incapaci, venditori di fumo... insomma a tutti tranne che ai professionisti.

Perché in fondo che cosa ci vuole per fare un marchio? Un disegno che qualsiasi bambino con un minimo di propensione all'arte potrebbe realizzare.

Che spocchia questi grafici che studiano, confrontano, ricercano, provano, cambiano, riducono, cambiano ancora, pesano e poi pretendono di essere pagati.

Quante volte abbiamo dovuto leggere bandi deprimenti per l'ideazione del marchio di enti, associazioni, aziende aperti a tutte le categorie professionali tranne che a quelle giuste? Quanti bandi redatti da incapaci, capaci solo di affidarsi ad altri incapaci, che non sfuggono al luogo comune del "chi si somiglia si piglia"?. Quanti aborti di marchi nati già morti semplicemente perché impossibili da utilizzare in qualsiasi contesto comunicativo? 

E poi, d'improvviso, tutti a contendersi un marchio.

Finalmente, inconsciamente o per capriccio, ci si rende conto che un marchio rappresenta e trasmette valori, identifica e distingue, raggruppa e accomuna

Scrivetelo nei titoli di testa, il marchio serve a tutto, e quando è di tutti ha raggiunto il suo scopo: diventa un simbolo condiviso. 




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